“Saddam Hussein è nato il 28 aprile 1937 ed è cresciuto in una famiglia di contadini che viveva molto poveramente nei pressi di Tikrit, non possedendo terra propria.
Secondo quanto scrivono le autrici della sua biografia, il padre biologico ha lasciato la moglie poco prima o poco dopo la nascita del bambino.
Il patrigno, un pastore, ha sempre UMILIATO il piccolo, chiamandolo “figlio di un cane” o “figlio di puttana”, PICCHIANDOLO senza pietà e TORTURANDOLO nei modi più brutali. Per sfruttare al meglio la forza lavoro del bambino che dipendeva da lui, gli ha impedito di andare a scuola fino ai dieci anni. Nel frattempo, lo svegliava nel cuore della notte ordinandogli di andare a badare al gregge.
IN QUESTI ANNI FONDAMENTALI OGNI BAMBINO SI CREA LE PROPRIE RAPPRESENTAZIONI DEL MONDO E DEI VALORI DELLA VITA, MENTRE MATURANO IN LUI I DESIDERI CHE SOGNA DI VEDERE REALIZZATI.
Per Saddam, prigioniero del patrigno, quei desideri potevano significare una cosa soltanto: esercitare sugli altri un potere incondizionato. Nel suo cervello ha probabilmente preso forma un’idea: egli avrebbe potuto salvare la dignità che gli era stata sottratta soltanto se avesse esercitato sugli altri lo steso potere che il patrigno esercitava su di lui.
Durante l’infanzia non aveva conosciuto altri ideali, altri modelli: soltanto il patrigno onnipotente e lui stesso, VITTIMA CONSEGNATA SENZA SCAMPO AL TERRORE. Divenuto adulto, ha organizzato la struttura totalitaria del suo paese secondo quel modello. IL SUO CORPO NON CONOSCEVA ALTRO CHE VIOLENZA.
OGNI DITTATORE NEGA LA SOFFERENZA PROVATA DA BAMBINO E CERCA DI DIMENTICARLA FACENDO RICORSO ALLA MEGALOMANIA.
E’ possibile dimostrare che nel corso della vita il carattere di un tiranno di un tiranno non si modifica mai, che egli usa il suo potere in modo distruttivo finché non gli viene opposta resistenza perché il suo vero obiettivo inconscio, che si nasconde dietro i gesti consapevoli, rimane perennemente uguale: cancellare, con l’aiuto del potere, le umiliazioni subite e negate nell’infanzia.”
Testo di Alice Miller